Molti, fra cui il sottoscritto, si chiedevano che fine avesse fatto il cosiddetto Progetto SIGNUM.
Nell’audizione di ieri, davanti alla Commissione d’inchiesta per l’uranio impoverito, ne hanno parlato.
Ecco un estratto dal testo del resoconto sommario della seduta.
” Il prof. AMADORI fa preliminarmente presente che, pochi giorni fa, il Comitato scientifico, avendo concluso i propri lavori ha trasmesso al Ministro della Difesa la relazione finale. E’ quindi possibile oggi dare conto dei risultati conseguiti e, per quanto lo riguarda si limiterà ad fornire una sintesi dei tratti salienti del progetto, lasciando ai componenti del Comitato scientifico presenti il compito di illustrare altri aspetti. Ricorda quindi che il progetto SIGNUM nasce dalle raccomandazioni della Commissione Mandelli, istituita nel 2000 con il compito di condurre un’analisi osservazionale retrospettiva di tipo caso-controllo sui reduci del teatro operativo balcanico. Come è noto, la Commissione rilevò un eccesso statisticamente significativo di linfomi di Hodgkin nella popolazione considerata, ma, per l’impossibilità di pervenire ad una validazione scientifica di un possibile rapporto causale tra l’incremento di incidenza di tali neoplasie e l’eventuale esposizione ad uranio impoverito, segnalò la necessità di ulteriori studi per definire meglio le conseguenze dell’esposizione all’uranio impoverito medesimo, e per identificare eventuali altri fattori di rischio nell’insorgenza delle predette neoplasie. Raccogliendo tale raccomandazione, il progetto SIGNUM si propone di valutare il modo prospettico l’effettiva esposizione a uranio e ad altri genotossici ambientali noti, e di stimare il rischio di tumore in base alla variazione della frequenza di marcatori di esposizione e di effetto biologico precoce. La scelta di sottoporre ad osservazione una coorte di militare impegnati nel teatro operativo iracheno deriva dal fatto che fonti ufficiali hanno riportato un impiego significativo di munizionamenti ad uranio impoverito nel corso della prima guerra del Golfo e che nell’area sussistono insediamenti industriali obsoleti ad alto rischio ambientale.
Il progetto è articolato in due fasi, la prima delle quali, definibile di assessment, è ora conclusa e consiste nella quantificazione dell’esposizione a genotossici ambientali e nella rilevazione e misurazione degli effetti biologici precoci a carico di DNA e cromosomi potenzialmente associati all’esposizione ad agenti genotossici. La seconda fase, clinico-epidemiologica, è tuttora in corso e prevede la sorveglianza sanitaria per almeno dieci anni della coorte in esame, con controlli eseguiti a scadenza annuale per la verifica dello stato di salute, nonchè la valutazione degli effetti nel lungo periodo conseguenti alla permanenza nel teatro operativo in termini di aumento del rischio di tumore o di altre patologie cronico-degenerative nonchè di mortalità specifica in relazione alla causa.
Dopo aver dato conto dei soggetti partecipanti al progetto, articolato in sette unità operative, il prof. Amadori fa presente che la popolazione in studio deriva dalla adesione volontaria di una coorte di circa mille militari appartenenti ad un contingente di rotazione e che il campione considerato è stato articolato per età, area di nascita e tipologia di impiego, al fine di garantire la massima validità statistico-epidemiologica. Le analisi sperimentali sono state condotte attraverso il campionamento di urine, sangue e capelli con campioni identificati mediante un codice a tutela della riservatezza del dato sanitario. I prelievi sono stati compiuti immediatamente prima della partenza e prima del rientro in patria. La campagna di prelievo si è svolta tra il 2004 e il 2005 e alla fine di tale anno è partita la fase analitica che si è rivelata estremamente complessa.
Prende quindi la parola il prof. BONASSI, il quale avverte preliminarmente che nel suo intervento tenterà di sintetizzare una notevole quantità di risultati. Come già detto, il progetto si propone di studiare i danni al DNA e i biomarcatori di danno cromosomico derivanti dalla reazione dell’organismo all’esposizione all’uranio e ad altri xenoelementi. Si è quindi proceduto alla misurazione dell’uranio e degli altri xenoelementi, nelle urine, nel siero e nei capelli, sia alla partenza che al rientro dei militari in missione, utilizzando come metodica la spettrometria di massa. I risultati sono piuttosto differenziati poichè per alcune sostanze, come arsenico, uranio e vanadio i valori riscontrati al ritorno erano più bassi di quelli della partenza. Analoghi risultati sono stati acquisiti sulla presenza di tungsteno con riduzioni significative nel siero, ma non nelle urine, sempre comunque con variazioni entro intervalli di normalità. Per il molibdeno è stato rilevato un aumento al rientro nei sieri e nelle urine, ma su tale risultato potrebbero avere inciso anche variazioni della dieta. Per lo zinconio, tra partenza e rientro, si è riscontrato un aumento nel siero e una diminuzione nelle urine. Il piombo presenta un calo significativo mentre tra partenza e rientro si registrano incrementi per il cadmio e il nichel, cancerogeni riconosciuti.
Tale ultimo dato, peraltro si è riscontrato in misura più elevata per alcune mansioni con impiego esterno, come pattugliatori e conduttori. La valutazione dei dati relativi all’uranio impoverito si è rivelata più complessa, anche perché valori bassi di uranio hanno limitato la possibilità di effettuare test. Le soglie di concentrazione rilevate dimostrano comunque che vi è stato un decremento al ritorno rispetto alla partenza.
I risultati sopra sintetizzati – prosegue il prof. Bonassi – hanno fornito la base per l’analisi di biomarcatori molecolari di impatto genotossico e suscettibilità genetica. La misurazione degli addotti al DNA non ha fatto rilevare nessuna variazione significativa tra la situazione alla partenza e quella al rientro, mentre la misurazione del danno ossidativo ha fatto registrare un aumento del carico ossidativo endogeno in relazione all’incremento di attività psicofisica e a profilassi vaccinali numerose (in particolare con vaccini vivi attenuati) più rilevante nella piccola frazione di soggetti a rischio. La ricerca di micronuclei ha rilevato incrementi più significativi in soggetti che svolgevano prevalentemente attività esterna, senza alcun rapporto con esposizione a specifici genotossici. La ricerca di aberrazioni cromosomiche in linfociti periferici ha fatto registrare una frequenza non diversa da quella attesa per la popolazione non esposta, e tra partenza e rientro non sono state registrate variazioni significative. Anche la ricerca dei transriarrangiamenti in linfociti periferici non ha fatto registrare dati che si discostano da quelli riscontrabili nella generalità della popolazione.
Il colonnello LA GIOIA, con riferimento all’esposizione a genotossici ambientali, rileva che le analisi svolte hanno fatto registrare una riduzione significativa della concentrazione totale di uranio nel siero e nelle urine al momento del rientro in patria, rispetto alle campionature effettuate alla partenza. Si sono osservati modesti incrementi per alcuni genotossici e, sempre nel confronto fra il dato della partenza e quello del rientro, riduzione di altri elementi. L’analisi dei marcatori di effetto biologico precoce ha evidenziato valori riferibili alla popolazione generale non professionalmente esposta, così come sono stati esclusi incrementi di addotti al DNA. Anche l’aumento delle cellule micronucleate rientra nei valori della popolazione non professionalmente esposta. L’incremento di alterazioni ossidative in alcune mansioni, come quelle dei pattugliatori, vanno probabilmente ricondotti allo stress operativo e, per altre mansioni, all’eccesso di vaccinazioni, che ha riguardato soprattutto il personale frequentemente impiegato nelle missioni di pace. Si rileva pertanto che l’esposizione a genotossici ambientali non costituisce un fattore di rischio prioritario per il personale militare che è stato oggetto dello studio.
Il generale DONVITO ricorda di avere condiviso e sostenuto le raccomandazioni della Commissione Mandelli dalle quali ha avuto origine il progetto SIGNUM, sviluppatosi a partire dal 2004 e per molti versi unico, per l’analisi di tipo prospettico seriale, per l’ampiezza del campione considerato, per gli indicatori biologici analizzati e per la complessità organizzativa che non ha mancato di creare alcune difficoltà in relazione al coordinamento. L’unicità del progetto riguarda anche la trasparenza, poiché esso è stato concepito con l’opportuno e costante coinvolgimento informativo della rappresentanza militare.
Non sono peraltro mancati alcuni difetti: tra di essi, vanno segnalati il ritardo nella conclusione dei lavori, ascrivibile alla complessità e alla dimensione della ricerca, nonché alle difficoltà riscontrate in campo amministrativo e finanziario; gli errori compiuti nella campionatura dei capelli e carichi di lavoro inizialmente non equilibrati tra i diversi partecipanti alla ricerca. Tuttavia, anche se le varie unità operative hanno concluso il loro lavoro con circa sei mesi di ritardo, l’impegno di tutti i gruppi e l’impiego di personale aggiuntivo ha consentito di avviare nel 2008 l’ultima fase del progetto, conclusasi in questi giorni con la consegna della relazione finale al Ministro.
Il PRESIDENTE, nel ringraziare gli intervenuti per la circostanziata esposizione, osserva che la complessità dei temi affrontati implica un aggiornamento necessario per consentire a tutti i componenti della Commissione di riflettere sui risultati del lavoro svolto nell’ambito del Progetto SIGNUM, anche alla luce della lettura della relazione finale, di cui verrà fatta richiesta al Ministro.
I temi da approfondire sono infatti numerosi, e in particolari appaiono interessanti i cenni allo stress psicofisico e alla proliferazione delle vaccinazioni come concause nell’insorgere delle patologie.”